WFA fotografa lo stato dell’arte del Programmatic Advertising

La WFA (World Federation of Advertisers) ha recentemente condotto una ricerca, giunta al 4° anno, sullo stato dell’arte del Programmatic Advertising.

Di seguito alcune delle principali evidenze.

Il programmatic buying vale per il campione della ricerca il 41% della spesa in digital advertising nel 2020 (31% in Europa), in grande crescita (nel 2016 valeva solo il 16%).

Il Real Time Bidding sta perdendo quota a favore degli accordi privati, con o senza asta.

I grandi investitori non usano più ormai modelli di acquisto programmatic “non-disclosed”, dove l’agenzia funge da reseller di inventory e non sono chiari i prezzi di acquisto dell’agenzia e la proprietà dei dati. Tuttavia anche nei modelli “disclosed” permane molta opacità sui fee di filiera.

Il ruolo delle agenzie nel programmatic rimane molto importante. Cresce tuttavia di molto da parte delle aziende l’adozione di nuovi partner tecnologici (Independent Trading Desks) e l’internalizzazione delle tecnologie, gestite poi in-house e/o dalle agenzie, in modelli ibridi che si stanno sempre più affermando.

I due asset di maggior valore nel prossimo futuro per il programmatic advertising saranno il consenso degli utenti e i dati di prima parte.

I due grandi limiti attuali del mercato sono la scarsità di data scientist e la capacità delle aziende di connettere i propri set di dati.

Si tratta di risultati estremamente in linea con il “Libro Bianco della Comunicazione digitale” promosso da UPA nel 2017 e con le discussioni del tavolo di lavoro Nessie, in cui le aziende UPA promuovono le progettualità di costruzione di asset sui dati e le tecnologie per l’advertising.

Il report completo è disponibile nell'area soci, a questo link