Come il digitale unifica l’esperienza del consumatore: omnicanalità

Negli ultimi anni, l’esperienza di acquisto di una persona è radicalmente mutata. Le persone non sono (più) acquirenti online o offline ma acquistano nel modo che ritengono di volta in volta più opportuno, comodo e conveniente.

Nel suo intervento al Master UPA in “Strategie della comunicazione integrata al tempo del digitale”, Gianluca Diegoli, docente allo IULM, scrittore e co-fondatore di Digital Update, si è infatti espresso riguardo l’omnicanalità, analizzando la grande accelerazione digitale a cui stiamo assistendo.

L’omnicanalità è la gestione sinergica dei punti di contatto tra azienda e consumatore per ottimizzare esperienza e raccolta dati e massimizzare la soddisfazione del cliente. Essa presuppone quindi, che il cliente torni al centro della strategia e dei servizi informativi dell’azienda. Per farlo, prevede un sistema interconnesso tra tutti i punti di contatto (touch point): interagire con il cliente attraverso una molteplicità di azioni, ottenendo un trasferimento di dati tra i diversi canali e strategie di contatto coerenti.

Basti tornare un po' indietro nel tempo e pensare a quanto uno spot televisivo bastasse a condizionare il cliente nell’acquisto di un prodotto, a differenza di oggi in cui la persona attraversa differenti touch point prima dell’acquisto: guarda uno spot, cerca il prodotto online, lo compara con altri e così via.

Per un’azienda è importante far vivere al cliente la medesima esperienza su tutti quanti i touch point, in modo da non avere interruzioni nel percorso dall’uno all’altro, facendo si che anche la persona si riconosca in questi canali. Il dato che si ottiene è infatti un po' il sistema nervoso di questa nuova conformazione digitale.

“In un mondo in cui i consumatori avevano una scelta limitata, dovevi competere per le location” […] “Ma in un mondo nel quale i consumatori hanno scelta illimitata, devi competere per l’attenzione.” (Brad Stone, Everything Stone)

Il cliente omnicanale (che acquista sia online che offline) vale circa il 30% in più di un cliente che acquista da un solo canale. Attraverso il fenomeno di webrooming, il cliente guarda il catalogo online per scoprire l’offerta, per poi scegliere di comprare in negozio.

L’ e-commerce è in grado quindi di aumentare le vendite in negozio: dare alle persone un’anticipazione dell’acquisto fa sì che qualcuno comprerà online ma altri in negozio. Il negozio è diventato quindi il risultato dell’attenzione che cattura l’online.

La grande accelerazione digitale o il grande shift in avanti

Quest’anno, oltre al consueto aumento, c’è stato un incredibile incremento di vendite online. Anche post lockdown le persone hanno normalizzato e fatto diventare una abitudine l’acquisto online dall’abbigliamento al food delivery. Basti pensare infatti che, secondo i dati raccolti da We are social, l’86,5% delle persone, comprese dai 16 ai 64
anni, cerca un prodotto o un servizio online, il 93,7% visita un negozio online ed il 79,7% ha comprato un prodotto online.

Sempre We are social riporta l’incremento degli acquisti effettuati nelle seguenti categorie: fashion, elettronica, giochi, digital music, mobili e purtroppo la grossa perdita che il mondo del turismo ha subito e sta ancora soffrendo.

Le persone scelgono mediamente molto più la comodità, infatti il food delivery è una delle attività a crescere di più: in pandemia il 10% delle persone ha usato il delivery per la prima volta.

In un mondo in cui l’attenzione è sempre più scarsa, non dover costringere il proprio cliente a rifare un ordine può essere un vantaggio competitivo. Si tratta degli abbonamenti ai prodotti (su Amazon “Iscriviti & Risparmia”), ovvero la possibilità data al cliente di potersi iscrivere a un abbonamento che gli consentirà di ricevere un determinato articolo che ha ordinato, automaticamente, ad una determinata frequenza temporale, senza dover rifare l’ordine.

Tutto il mondo della logistica è passato quindi dall’ignorare l’e-commerce al vederlo come il proprio futuro, vista la grande opportunità offerta dal digitale di andare oltre la vendita puntuale.

Attraverso Instagram e Facebbok i brand riescono ad arrivare direttamente al cliente, sponsorizzandosi. L’esplosione di Tik Tok è un altro passo in avanti poichè molti tik toker si affiliano con Amazon guadagnando una percentuale sui prodotti venduti, ma soprattutto raggiungendo target più difficili.

VECCHI E NUOVI MODELLI
Si sta assistendo alla creazione di nuovi modelli di marketing e allo sdoganamento dei vecchi. Dal commercio diffuso (negozio di periferia e bancarelle), si passa infatti al DIRECT TO CONSUMER: si va direttamente su un determinato brand e si acquista (è importante che il brand sia abbastanza forte da attrarre il cliente).

Dai centri commerciali naturali (vie dello shopping) a INSTAGRAM: si lotta per far entrare il proprio cliente.
Dai centri commerciali (polarità pianificata) ad AMAZON: si cerca qualcosa che si sa di trovare.

Si stanno inoltre, ricreando le televendite con lo streaming commerce (live commerce): un brand che ha la propria trasmissione e la usa per vendere i suoi prodotti. Il video trasmette infatti, un’intimità molto forte tra il venditore e il potenziale cliente.

Benedict Evans, analista di digital, mette in evidenza come i vari retailer fisici che vogliono mantenere vivi i negozi, debbano avere un’e-commerce, seppur questo richieda dei costi extra, che si andranno ad aggiungere ai costi fissi degli store fisici.

INFO-COMMERCE: l’ultimo miglio mancante
Le aziende italiane hanno molto spesso rinunciato allo sviluppo di un’attività e-commerce per evitare conflitti con i propri distributori, stanno però velocemente recuperando. Luisa Via Roma, ad esempio, ha creato da un negozio un e-commerce. Ha chiuso il 2019 registrando ricavi pari a 165 milioni, una crescita di oltre il 34% rispetto ai 123 milioni dell’anno precedente. Il sito pesa 90% del fatturato.

Una delle molteplici possibilità offerte dall’e-commerce al cliente è il reso: una sorta di camerino di prova, che ha ovviamente dei costi per il brand. Per questa ragione, brand come Primark sono ancora offline: “I costi legati alla consegna a domicilio sono insostenibili con i nostri prezzi.” (John Bason).

I capi acquistati online sono d’altronde, più spesso soggetti al reso che può essere sei volte più costoso rispetto al reso nei negozi. Sui siti e-commerce è inoltre spesso possibile controllare che un prodotto sia presente in una determinata sede fisica: il cliente non vuole perdere tempo.

Direct to consumer
A questo modello appartengono brand che nascono direttamente sull’online (per esempio Veralab che si trova in alcune profumerie). Il brand Lanieri nasce come direct to consumer, ed ha poi deciso di digitalizzare l’esperienza di un sarto: tessuti, bottoni, misure, colori. Il cliente può recarsi sul loro sito e avere accesso ad un ventaglio immenso di scelta del prodotto, vivendo quindi un’esperienza simile a quella in atelier. Gli stessi founder hanno poi creato dei piccoli atelier fisici ma in modo economico: portare le persone in posti accoglienti ma non costosi. In questo modo, le persone sono fidelizzate.

Un altro modo di fidelizzare il cliente sono le vertical subscriptions, come per esempio il click & collect di Sephora, la dieta per cani personalizzata creata da Barkyn, sottoscrizioni di vini e fresh delivery e molti altri. C’è un ritorno alla concezione dello store come negozio esperenziale (experential stores). La fisicità di un negozio è pensata infatti, per un obiettivo: dare consulenze, poter provare il prodotto, talvolta in pop-up store (negozi provvisori) che attirano sempre più la gente a provarlo in modo tangibile.

Dallo store “digitalizzato” al web “storizzato”
Il brand Pandora sta applicando la strategia del “web storizzato” creando un’applicazione che permette di provare digitalmente i gioielli: portare l’esperienza a casa del cliente.

Il MARKETPLACE (platform economy) è una formula che piace sempre di più poiché filtra l’overdose informativa, diminuisce il tempo speso per l’acquisto, garantisce le transazioni,
raccoglie e distribuisce recensioni (aiuta la scelta), usa i dati del cliente e l’AI per facilitare la scelta (preferenziale). Nel 2020 il 50% dei consumatori online sono utenti di servizi di marketplace, anche per ricercare il prodotto.

La maggior parte delle imprese usa questo canale per raggiungere mercati nazionali e internazionali. Alcuni esempi di marketplace sono infatti: Amazon, Ebay, Zalando, Etsy, Eataly, Farfetch, E-Price, Manomano. Il punto comune è che lavorano sulla base di una fee che chiedono al venditore.

IL COSTUMER JOURNEY
È importante che un brand investa soldi in quelli che sono i passaggi della scelta del consumatore, che lascia così delle tracce: ricerca su Google, visita al sito dell’azienda e così via. Come già evidenziato, lo spot televisivo era prima l’unico touch point, oggi invece, questi ultimi sono molteplici e fanno da trigger: nel marketing digitale spesso può trattarsi di un post su Instagram.

Nel customer journey il cliente pone in essere molteplici azioni: scopre a volte per caso, cerca informazioni, osserva, prova in negozio, chiede in giro, decide in modo più rapido e conveniente di entrare in possesso dell’acquisto, paga con il mezzo che preferisce, restituisce l’articolo, consiglia gli altri, riacquista “automaticamente”.

La costruzione del customer journey si articola in diverse fasi: ricerca sul campo, dati, workshop; mappatura, consistente nel mettere in sequenza i punti di contatto, nel valutare l’importanza del touch point, ai fini dell’acquisto e della numerosità di impattati; uso, si costruiscono funnel di marketing.

Quando è possibile, i brand dovranno utilizzare la Customer Data Platform, dove sono presenti tutti i dati del cliente e da tutto questo bacino di dati, la CDP costruisce dei profili che possono essere messi assieme sia per similitudine che per caratteristiche comuni.

by Fiorenza Rossiello